carne sangue ossa

desidero quelle dita contro le mie costole da non so quanti giorni o mesi o chissà quanto è passato, forse un giorno. le tue dita sulle mie ossa come a disegnarle a contarle a scavare nella carne. a scovare le fragilità lungo la schiena sotto le ossa tra i polmoni. le tue dita contro le mie costole le tue domande contro il mio silenzio e la mia voglia di nascondermi da tutte le attenzioni. era un abbraccio quella parola, quella domanda era un abbraccio nudo in una casa fredda. non ho detto niente per un minuto infinito e poi ti avrei raccontato anche di tutte le vite precedenti mentre ancora percorrevi tutte quelle ossa che sembravano spezzarsi sotto il peso delle tue dita che volevano sapere tutto. non ti conosco m’hai detto e nemmeno io, ma so che mi piace questo tuo corpo nudo e caldo che vaga sorridente per casa e che forse sa a memoria cosa nascondo sotto questa carne dentro questo sangue. dovrebbe bastare e non basta. ché non puoi sostituire per sempre le parole con la carne, con il sangue che mescola quello che vuoi dire e quello che no e le costole che non proteggono più il cuore che t’esplode nel petto quando vorresti parlare e non puoi, quando potresti e non vuoi. quando dovresti e forse dovrei dovremmo. tornare alle tue dita contro le mie costole sinché non finiscono tutte le storie da raccontarci.

Godi.

camminavo senza pensare e sono arrivata in quell’angolo lì, un angolo di quelli che dovrebbero significare qualcosa, gli angoli che ti ricordano le cose che contano, le cose che contano anche solo per quell’attimo in cui succedono. non ho sentito niente, mi sono fermata e non ho sentito niente tranne il senso di colpa per non sentire niente, quel battito in più che ti fa saltare il cuore, niente. mi sono fermata a rimettere a posto tutti i pezzi, tutti i passi, tutte le parole conservate in quell’angolo e ne è uscito fuori un cortometraggio di quelli che dopo 3 minuti sei già annoiato e finisci di guardare per inerzia. ho sprecato un angolo di bellezza e me ne sono andata, forse ho rimosso e basta, ho rimosso il coraggio che non ho avuto di fermarmi in quell’angolo e godermelo tutto con la stessa foga e ansia di quando scopi al parco col timore che ti becchino. me ne sono andata troppo presto senza rubare tutto il tempo per, e ora non sento niente forse solo tutti quei se avessi e se fossi che mi martellano il cervello in cui riecheggia incessante un preserva la bellezza, e godi. Godi. occupa tutti gli angoli ricordati tutto fatti scoppiare il cervello fermati, fotti il tempo senti il cuore che esplode e godi. Godi. Godi costruisci bellezza preservala e godi. Godi, cazzo.

qui nello sterno

Per esempio ieri ho detto oggi preparo il pane, così lo lascio lievitare tutta la notte e domani lo inforno. Non l’ho fatto, la domenica è il giorno sacro dedicato al nulla. Oggi sì, ho messo le mani nella farina. Integrale: è una bella parola. Pensa alle mani, due, nell’intero, uno. Due cucchiai di olio, ho pensato che avrei voluto essere lì, sul divano. Un bicchiere d’acqua, il sale. Sul divano, a gambe incrociate come il primo giorno. Avrei detto ti ricordi? ti dicevo che non ci riuscivo più, ch’ero bloccata proprio qui nello sterno, che non ero pronta e scappavo e mi fermavo, poi scappavo di nuovo come sempre. Sono andata via anche da quel divano, ché un giorno ho quasi pianto e io voglio piangere solo in cucina da sola mentre faccio il pane o mi giro una sigaretta, due, tre. Me ne sono andata e ogni tanto mi mancavi, te l’avrei detto. Mi mancava parlare da sola a gambe incrociate, pesare tutte le parole prima e fregarmene subito dopo e vaffanculo le interpretazioni. Non lo so cos’è successo, che ho pensato su quel divano, che hai pensato tu dopo quando me ne sono andata e mi hai chiesto chissà dove, chissà perché. Te l’avevo detto, io scappo sempre, è il mio modo di risolvere tutto, il mio modo di risolvermi. Non risolvo mai niente. Me ne vado e basta, ti mando un messaggio, ti scrivo ciao. Ciao e basta. Non lo so perché ma sembra come quando metti l’impasto a lievitare in una ciotola che non può contenerlo. Io ero la ciotola troppo piccola e non potevo contenermi. L’hai capito? Mettiamo il tutto a riposare. Poi a un tratto ce l’ho fatta, te l’avrei detto. T’avrei chiesto di poter fumare ma forse mi avresti risposto di no. Forse. Alcune parole fanno venir voglia di fumare. Queste sì, tre sigarette. Alla fine è esploso tutto, sai quelle cose quando non te l’aspetti e tutte le cazzate e bla bla bla e non te l’aspetti davvero. Di esplodere nella ciotola, dico. Poi esplodi. Succede e basta. Vuoi controllarlo e non puoi, vuoi gestirlo e non puoi, vuoi fermarlo e non vuoi. Alla fine fa schifo, sei esploso e sei come pazzo, pazzo e senza divano. E parli da solo o con gli altri, a gambe incrociate, seduto o in piedi non ha più importanza. Vuoi solo esplodere e che gli altri ti raccolgano i pezzi e ti dicano che non sei pazzo, che non sei nemmeno esploso e sei vivo. Tutto intero. Integrale: è una bella parola. Le mani sporche di farina. Inforna. Aspetta. Il profumo del pane un’altra esplosione lo sterno libero respirare una ciotola più grande un altro divano fermarsi vivere. Te l’avrei detto.

Oggi arrivano i barbari

E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.

contromaelstrom

Che aspettiamo, raccolti nella piazza?

Oggi arrivano i barbari.

Perché mai tanta inerzia nel Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?

Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.

Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?

Oggi arrivano i barbari
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.

Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei caselli tutti d’oro e argento?

Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.

Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?

Oggi arrivano i…

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Interstellar: i buchi neri sono bellissimi ma non ci vivrei

 

*NO SPOILER! POTREBBE CONTENERE TRACCE DI POP CORN*

 

Eccoci dopo mesi o anni a guardare un film di fantascienza contro la mia volontà per sviluppare il mio lato nerd. Devo essere sincera: se non mi avessero obbligato non l’avrei mai visto perché preferisco altri generi e sopratutto perché chi se li accolla 169 minuti di film? Non io, no.

Invece, tu guarda il mondo che bizzarro, oggi mi hanno costretto. Avevo delle riserve e molti timori, quali bestemmiare nel cinema o addormentarmi, però è successo che sono solo morta di ansia perché la claustrofobia, morire nello spazio  e tutti i miei problemi che avevo già raccontato a suo tempo.

Interstellar è uno di quei film che stanno dividendo il pubblico in due squadre ben distinte e lontanissime tra loro: la prima squadra la chiameremo “capolavorone” mentre la seconda “busta de piscio”. Non ci sono sfumature: o ti sembra bellissimo o fa schifo al cazzo.

Io sono sempre molto diffidente sui film di fantascienza perché non me ne frega niente della realtà che non esiste, a me piacciono i documentari, le cose vere (sì, sono pallosa embé?), mi rompono il cazzo gli effetti speciali e tutte quelle cose che WOOOOOOOW che figata non esiste! Quindi sono arrivata al cinema già convinta che avrei odiato tutti, e invece ho dovuto ricredermi e poi ho imparato tantissime cose, come sempre.

Il film parte con un incubo del protagonista, Matthew McComesechiama (quello che dite sia figo e che io dico MAH), e subito entra in scena sua figlia super rompicojoni che si capisce subito sarà la protagonista indiscussa della storia e che costringe suo padre (un ingegnere che ha regalato poi le sue braccia all’agricoltura) a farle un pippone sulla supremazia della scienza.

Si continua poi con un timido accenno di classismo cui segue un delirio grillino complottista niente male. Purtroppo a Nolan della politica e di fare la lotta di classe non fregava un cazzo, quindi andiamo pure avanti a parlare della minaccia alla terra e della fine del mondo imminente causa riscaldamento globale e scarsità delle risorse.

Potremmo semplicemente morire tutti, perché alla fine ce lo meritiamo considerando l’assoluto disinteresse nei confronti della terra e del futuro prossimo poiché, come disse il buon Ulrich Beck, non abbiamo assolutamente la percezione del pericolo cui andiamo incontro perché non imminente o, come dico io, lo sappiamo ma non ce ne frega comunque un cazzo.

Nolan, dicevo, non vuole farci morire anche perché siamo ancora a mezz’ora e dobbiamo riempire le prossime 2 ore in qualche modo, quindi partiamo in una missione spaziale alla ricerca di un altro pianeta dove traslocare.

Poi eccetera eccetera fino alla fine del film. Non continuo perché dovrei fare spoiler ma adesso farò un elenco su altre cose importanti che potete imparare sulla vita nello spazio:

 

1. Lo spazio mette ansia, tantissima ansia

2. Nello spazio i tuoi capelli sono sempre sporchi e i tuoi capezzoli sempre turgidi

3. Nello spazio i buchi neri somigliano a Napoleone

4. Stringere la mano a un buco nero è molto scenografico ma stupido

5. Nello spazio non invecchi ma solo se non sei claustrofobico

6. Se sei bello, nello spazio non c’è posto per te

7. Se metti la tuta da astronauta e sei donna ti viene l’affanno

8. Puoi metterti delle vestaglie da lord inglese e nessuno ti prende per il culo

9. Puoi metterti anche delle salopette bianche da gelataio e sembrare comunque ridicolo come sulla Terra

10. Se arrivi su un altro pianeta prima ti sembra il golfo di Napoli, poi però diventa la California ma col 30% di gravità in più

11. Puoi anche attraccare sul mare ma non è una buona idea se non sei una nave

12. Se vai di fretta puoi spaccare le nuvole e nessuno ti arresta per devastazione

13. Puoi fare a cazzotti quanto ti pare tanto non ti caga nessuno

14. Nello spazio se fai lo stronzo poi vieni punito (da qui la cosiddetta legge marziale, da Marte, appunto, grande esempio di civiltà e giustizia nella galassia)

15. Probabilmente non farai sesso per qualche anno, un po’ come sulla terra.

 

Un ultimo pensiero mi sento di dedicarlo a tutti quelli che hanno fatto la punta al cazzo al film per le questioni scientifiche, come se qualcuno guardasse i film di fantascienza come fossero i documentari della Nasa e dire loro che li capisco, perché è evidente che ci siano degli errori madornali dato che sappiamo tutti che la formula della relatività è

Esticazzi=MeCojoni²

trasferimento

Potrebbe bastare

 

La prima volta l’ho fatto per il semplice gusto di farlo. Pensavo che non dovesse esserci sempre un motivo anche se trovarne mi sembrava molto facile ogni volta. Poi è successo che non ne potevo più e dopo ancora forse l’amore, e forse l’amore che non era amore ma l’ho distrutto lo stesso, e dopo mi è mancata l’aria e alla fine mi è mancato tutto e sono andata a riprendermelo. Il tutto che avevo lasciato un giorno all’improvviso perché alla fine era importante sì ma io di più e scappare via lontanissimo era fondamentale invece. Fondamentale come correre di nuovo verso quel tutto, come se avessi fatto un giro intorno lungo anni per sentire alla fine nei muscoli tutto il peso dell’assenza. Mi inchiodo i piedi nella terra, nell’asfalto, mi obbligo a stare ferma con le valigie vuote nell’armadio pieno e disordinato. Castro il desiderio fortissimo. Stai ferma, non ti muovere. Me lo ripeto come una litania e non mi muovo, faccio finta di niente e non prenoto treni o aerei e  non ripongo confusamente vestiti in valigia. Ho sempre tantissimi motivi per scappare e pochi per restare e quel poco oggi non basta. Io nemmeno. Ti ho sognato stanotte: mi regalavi le chiavi di casa tua e ho pensato fosse la cosa più bella del mondo avere un posto dove nascondere la testa come uno struzzo, un posto lontano da qui. E ho pensato fosse bellissimo che quel posto dovessi essere proprio tu anche se dico tu e non so bene chi sei né dove. Ma ho le tue chiavi di casa con dentro un letto e un paio di braccia dove dimenticare tutto e potrebbe bastare. Oggi sarebbe bastato fra tutte quelle parole inutili da dire, i come stai insignificanti, le spiegazioni per ogni cosa, le telefonate interrotte a metà, le speranze suicide mentre io volevo solo silenzio e sprofondare. Quelle braccia e sprofondare.

Il niente per sempre.

30 giorni.

Per alcuni è l’inizio, per altri il ritorno, o ancora la novità. Per me è la fine. Sempre la fine. A volte lentissima, più spesso improvvisa.

Giorni in cui piano capisci che si sta sgretolando tutto con quella lucidità che stenti a crederci. Non ci credi d’esser così consapevole eppure così riluttante alla verità. E la verità è che in quei giorni succede tutto e tutto resta fermo e tu in piedi immobile al centro che non sai se arrenderti o provarci ancora. Giorni di solitudini mascherate e desiderate, giorni da nascondere la testa sotto le lenzuola mentre entra dalle finestre tutta la vita che non affronti. Giorni da farci le valigie e andarsene via, giorni che hai scelto di restare, giorni da sistemare con cura nei cassetti con tutti i progetti che hai fatto infrangere. Giorni di ritorni che non si fermano mai, di persone che passano per un attimo a toccarti l’esistenza, giorni decorati con tutta quella paura di. Una serie di fulmini che irrompe in un angolo della finestra. Piove. Quel giorno ho detto che ci sarei stata. Non pioveva ma l’atmosfera si prestava al blues come adesso. Ho provato a scavare in profondità dopo aver demolito il muro, scavato fino a farmi male, fino a staccarmi di dosso la pelle e poi ho detto che ci sarei stata. Così per tutti i 30 giorni e gli anni a venire e così adesso. Forse ho fretta, come quando hai fame. Forse ho fame. Forse voglio tutto quello che non ho e ancora di più quello che mi illudo di avere. La coscienza di sé, sorridere alle 8 del mattino, le confidenze sul divano, un petto in cui annegare giorni terribili, i ciao vengo da te, la fiducia cieca, non vedere l’ora, le difese azzerate, un letto in cui ritornare sempre, raccontarsi le vite, chiudersi a chiave, pagine bianche, non aver paura di affondare le radici, trovare spazio in altri occhi. Restare ancora in piedi immobile e decidere se andartene per prima, o guardare chi se ne va. In piedi immobile e ancora non sai se arrenderti o provarci ancora.

Settembre.

 

 

Nero strutturato

Delle foto mi piace immaginare tutti gli attimi prima fatti di sguardi attenti o distratti che si fermano un momento sedotti da qualcosa e poi le mani che premono tasti e regolano e decidono quanta luce vuoi fare entrare. Le dita che fanno click e gli occhi che controllano se era proprio così che volevi quella cosa che ti ha attratto, che ti ha obbligato a fermarti, che adesso tieni prigioniera nella tua memoria. Probabilmente no, probabilmente saranno occhi delusi o stupiti di quanto la realtà sia tanto diversa da quella che abbiamo creato, spesso più brutta di quella che abbiamo immaginato. Le foto diventano un insieme di pixel in cui hai sepolto tutte le aspettative, i desideri di mostrare la realtà come la vedevi tu, come la volevano i tuoi occhi in quel breve o lunghissimo attimo in cui sei stato attento.

Hai fatto tutto quello che c’era da fare e non è servito mai, non basta mai, forse è colpa della luce. Sicuramente hai fatto entrare troppa poca luce. E l’esposizione l’hai regolata? Quanto ti sei esposto? 400? 1600? 3200? Il rumore, devi stare attento al rumore dopo. Si vede l’errore, si vede che non c’è nulla di nitido, si vede che hai cercato di rimediare invano poi.

Si vede anche quando ci hai pensato troppo, se ti sei fermato per un attimo oppure per qualche anno su quella foto perché hai deciso che sì, devi creare la realtà così come la immagini, con la luce giusta, con l’esposizione perfetta e senza rumore, senza le persone che ti passano davanti di fretta e disturbano più del rumore, ché si vede che non ci dovevano essere lì dentro. E si vede che hai cercato di rimediare invano dopo, e di cancellare quel piede, o la mano, o un vestito che corre veloce.

Si vede, dico, che ci hai messo degli anni per costruire quella foto che l’istinto non ti regalava e neanche la ragione, alla fine. C’è che forse ci hai pensato troppo, è andato via l’attimo con quel vestito veloce, forse hai fatto entrare troppa poca luce. In quell’attimo distratto o in tutti questi anni ed è rimasto il rumore. Comunque lo stesso rumore.

 

A strapiombo

 

Il profumo dei cornetti caldi lasciati senza grazia sul tavolo in cucina, ancora nella bustina di carta. Io ci avrei messo accanto un bicchiere di latte o di spremuta d’arancia. Un succo ai mirtilli. Sì, ci avrei messo del succo ai mirtilli. Una tovaglietta, forse avrei lasciato un bigliettino.

Buona giornata. Un sorriso, forse.

Io. Tu no, tu avrai quel tuo modo di dire buongiorno, un modo senza alcuna grazia ma è un buongiorno, il tuo buongiorno. Un buongiorno che sembro io, che abbraccio sempre troppo poco, che non voglio parlare appena sveglia, che non ti chiamo quasi mai. Però non lascio i cornetti caldi nella bustina. Forse non vuol dire niente. Oppure tutto.

Il profumo delle torte che stanno crescendo pian piano nel forno, il profumo di casa, ché a me basta un forno acceso per sentirmi a casa, le mie mani nella farina, le tue che tornano presto oppure mai. Le tue mani che non tornano mai. Il forno acceso.

Poi scopri a un tratto che il lievito ti fa male, e allora a chi importa dei cornetti caldi, delle tovagliette, dei biglietti del buongiorno, delle torte in forno, delle mani, dei forse. A nessuno importa dei forse, dateci una certezza che sia anche inutile.

La certezza era dormire con il costume già indossato per risparmiare tempo, e svegliarsi alle 7 per andare al mare, tra chilometri di curve da sentir nausea ma non importa, c’è la strada a strapiombo sul mare e allora si sopportano anche le curve, anche la nausea, fra poco si va al mare. Non so come facevo a sopportare la nausea, perché adesso non la sopporto più, sarà che percorro strade a strapiombo su altre strade e chilometri di curve che non arrivano mai al mare. Sarà che non mi interessa nemmeno più, il mare. E non sopporto il caldo, e svegliarmi alle 7 per subire ancora queste giornate che non finiscono mai, queste giornate di 36 ore completamente inutili.

36 ore in cui mangio cornetti che mi fanno male, in cui accendo il forno e puntualmente mi ustiono mentre controllo che la torta sia cotta, in cui scrivo bigliettini che poi straccio in coriandoli. 36 ore.

Ore di nausea senza sbocco sul mare.

 

 

The very inspiring blog award (ovvero come sentirsi a disagio in 7 semplici mosse)

 

veryinsp

Prima di tutto ringrazio Lara per la nomination al The Very Inspiring Blogger Award e spero si senta un po’ in colpa per avermi obbligato a fare quello che sto per fare. E spero anche di vincere un ghiacciolo al limone.

Le regole del premio sono
1. Ringraziare il/la blogger che vi ha nominato.
2. Elencare le regole e visualizzare il logo del premio.
3. Condividere 7 fatti su di voi.
4. Nominare 15 blogger e notificargli la nomination.

Adesso, descrivermi di per sé è già problematico, farlo in 7 punti (sebbene il 7 sia un numero carino ed evocativo) è una condanna, ma andiamo avanti.

1- Nella vita faccio traslochi, sto programmando il 18esimo trasloco (in 10 anni di vita fuorisede). Mi piace spostarmi ma odio i traslochi perché perdo tutto, mi piace tagliarmi le radici non appena provo a mettercene, mi piace ricostruirmi uguale e diversa ad ogni casa e città cambiate. Amo i luoghi in cui vivo ma non mi ci affeziono abbastanza da provarne nostalgia quando li lascio. Credo sia un bene e un peccato contemporaneamente.

2. Non ricordo nulla, non so se per qualche strano meccanismo di rimozione o perché sono distratta o perché di molte cose non me ne frega niente e non mi restano nel cervello o sotto pelle. Poi invece ogni tanto qualche ricordo riaffiora e ovviamente è una merda perché capisco che non ho dimenticato ma solo rimosso e devo farci i conti e rielaborare e tutte quelle cose che fanno le persone per stare bene con se stesse.

3. Non sto bene con me stessa, ma nemmeno con gli altri in verità. Ma più con me stessa, tanto dagli altri se posso scappo. Scappo molto, quando non sto bene, oppure faccio le valigie e trasloco.

4. Dicono sia molto cinica, ed è vero, dicono anche che io sia ipersensibile ed è vero anche questo. Mi piace stare in compagnia ma adoro stare da sola, sono logorroica e capace di passare anche tre giorni senza emettere fiato.

5. Mi piace scrivere, scrivo da quando ho memoria (no, non è vero, scrivo da quando ho imparato a scrivere e la mia prima parola scritta è stata APE). Da bambina scrivevo poesie ma poi ho smesso perché la maestra le fece leggere in pubblico. Mi vergognai molto, a dire il vero mi vergogno anche adesso. Ho aperto questo blog ma posto quasi sempre di notte perché così leggono in pochi oppure non legge nessuno. Lo so, non funzionano così i blog ma tant’è. Mi vergogno. Però mi piace l’idea che qualcuno si riveda in quello che scrivo, che lo senta, mi piace anche quando non lo sento io, ché non è mica completamente vero tutto quello che scrivo. Molto sì, non tutto però.

6. Sono perennemente insoddisfatta il che da un lato mi spinge a far sempre meglio e dall’altro invece mi getta nel più completo sconforto. Ovviamente quest’ultima cosa avviene più spesso della prima ma ci sto lavorando, così un giorno potrò scrivere in bio che sono solare ma anche un po’ pazza.

7. odio i punti elenco, davvero li detesto, capisco che siano funzionali ma mi gettano nel panico più totale però per fortuna è quasi finito.

Adesso vi beccate i 15 blog consigliati, anche se Lara me ne ha rubati un po’ e quindi eviterò di essere ripetitiva :

1. Alicettah, perché purtroppo e per fortuna abbiamo molto in comune, tipo un blog all’opposto di quello che facciamo vedere di solito.

2. Zoidiakos, perché è una nuova scoperta  e perché mi fa ridere

3. Martina che spesso scrive quello che sento io e come piace a me

4. Gloria anche se ha il blocco dello scrittore ma la testa piena di parole da mettere in ordine

5. Raimondo, perché fa i sogni e cerca anche di spiegarseli, e poi perché è nella top 3 dei coinquilini

6. Brus, perché non abbiamo niente in comune ma ci sopportiamo lo stesso

7. Maurizio, che è completamente folle e trasforma le parole in coltelli affilati

8. Alessia perché ha messo in piedi un bel progetto e la ammiro per avercela fatta

9. Un blog collettivo  dove si scrive bene, ma bene per davvero

10. Uomoconbarba perché parla con le foto ma non solo

11. Morbilla perché è intelligente e perciò sempre incazzata

12. Gabriele, per  dargli il benvenuto

13. Martina che ha il blog più originale di tutti i tempi

14. Erotic Art Drops, e no, non è proprio per farvi masturbare

15. E ultima ma non ultima la Vale che è autoironica e poi mi vuole bene

Che fatica. Mi odierete tutti e 15, lo so.